La GAZZA LADRA
Come le sue compagne di scorrerie anche lei aveva accumulato un tesoro luccicante. Lo teneva ben nascosto in una cavità di un vecchio faggio e non faceva avvicinare nessuno alla sua tana. Il suo era un territorio ricco, i cui facili bottini avevano attirato altre della sua specie, ma mai erano riusciti a prevalere, mai nelle contese le avevano soffiato una preda. Brillantini, specchietti, carta stagnola, monete, tappi di lattine, tutto quello che luccicava era entrato a far parte del suo sconfinato tesoro.
Spesso sedeva a rimirare i suoi bagliori sul far della sera, quando gli ultimi raggi del sole morente facevano rilucere tanta ricchezza con tonalità arancio e rosa, sempre più cupe con il sopraggiungere della notte. Allora era solita trascorrere il tempo ripensando alle scorrerie e alle tante occasioni di conquista. Le tornavano in mente i duelli, le imboscate, le fughe, tutti quei percorsi seguiti per sviare i suoi inseguitori e far perdere le tracce. Le piaceva ripercorrere per ogni oggetto le emozioni della conquista: l’ansia dell’attesa prima della missione, l’adrenalina durante l’attacco, perfino il terrore delle ritirate, quando qualcosa andava storto. Non era l’oggetto in sé a possedere un valore intrinseco, bensì la storia della sua cattura, quello solo lei poteva conoscere, perché lo aveva vissuto.
Aveva anche depredato altri nidi, quando le altre gazze si erano allontanate incaute, ma il furto tra colleghe non le dava la stessa soddisfazione, tanto che il più delle volte aveva reso il bottino, abbandonandolo nelle vicinanze del nido depredato.
Quella sera osservava il suo tesoro colorarsi di mille tonalità ai raggi di un rosso tramonto autunnale. Dapprima si sentiva soddisfatta di quello che sicuramente era il miglior bottino mai messo insieme da una gazza. Poi, con il passare del tempo si accorse di quanto fossero diversi gli oggetti raccolti. Nessuno legava con il pezzo vicino, né con gli altri. Tutti si portavano dietro una storia, un carico di sentimenti e di emozioni legati alla conquista, ma sembravano sempre più un’accozzaglia disordinata. Gazza per la prima volta si sentì insoddisfatta e vide la sua collezione incompleta e inutile. La conclusione fu che doveva trovare una ragione comune e un gusto estetico che legasse tutti i suoi gioielli.
Man mano che la decisione maturava ogni singolo pezzo del suo favoloso tesoro aveva perso di valore. Quando finalmente si convinse del suo nuovo progetto, abbandonò ogni pezzo dell’intero patrimonio accumulato vicino ai nidi delle sue rivali. Queste, alla vista di tanto ben di Dio, quasi impazzirono per i doni inattesi, volavano e cinguettavano senza sosta creando un gran trambusto. Poi, quando finalmente il suo nido fu completamente vuoto, incominciò a definire gli obiettivi della sua caccia. Ogni bersaglio era frutto di severe valutazioni e di osservazione minuziosa. Solo quando era certa che l’oggetto cacciato fosse veramente indispensabile al progetto finale e ne avesse definito l’esatta collocazione finale, lo ghermiva. Con rapidità e abilità senza pari si lanciava sulla preda e mai sbagliava un colpo. Le sue rivali, ormai soddisfatte e tronfie per le loro conquiste, osservavano noncuranti dei miseri bottini che la loro più esperta collega si procurava. Un ritaglio di giornale, un bottone, un filo di lana, un incarto di caramella, ben poca cosa rispetto a quanto erano abituate loro. In poco si sparse la voce che la Gazza anziana fosse impazzita, che avesse abbandonato tesori meravigliosi dedicandosi alla raccolta di immondizia. L’ilarità per la situazione crebbe quando alcune gazze posero piccoli oggetti brillanti nel territorio di caccia della gazza anziana e lei li ignorò del tutto. Era divenuta lo zimbello di tutti e l’argomento di ogni chiacchiera serale.
Lei, imperterrita, continuava la sua ricerca, noncurante delle voci e delle beffe. Raccolse centinaia di oggetti differenti per foggia e dimensione, per ognuno trovava una collocazione, nel suo nido, accrescendo la tela per spessore e ampiezza. L’effetto della combinazione di quel multiforme aggregato andava modificandosi continuamente. Man mano prendeva forma uno strano telo, un vero e proprio collage di tante consistenze e di varie sfumature cromatiche.
Quando raccolse l’ultimo pezzo e lo collocò nel puzzle, finalmente si fermò a rimirare il capolavoro. Adesso sì che tutto appariva chiaro e il risultato finale era un caleidoscopio di colori e di consistenze che si manteneva in equilibrio in ogni sua parte. Sembrava una coperta soffice come quelle che le nonne amavano ricamare per avvolgere i nipotini nei giorni di freddo.
Sotto gli occhi delle gazze rivali, l’anziana gazza, ormai stremata, ci si avvolse dentro e lì restò immobile per tutta la notte. Nevicò a lungo e la bufera strappò molte delle foglie dagli alberi. Quando la gelida mattina successiva le gazze fecero visita all’anziana gazza già avevano un oscuro presentimento. Lo fecero in silenzio, come in una triste processione. Si appollaiarono sul bordo del nido e una di loro scostò con timore il mirabile telo. La sorpresa di tutte fu grande nel vedere agitarsi sotto la coperta le manine di una bambina. Era una neonata allegra e giocosa, gli occhi e i capelli erano neri, proprio come quelli della loro gazza e in fondo alle pupille si poteva scorgere quella luce che l’aveva guidata nella mirabile ricerca.
La Gazza Ladra sono io. E’ il simbolo che ho adottato e anche il nome della mia squadra di fantacalcio…
La gazza coglie qua e là ciò che luccica e lo fa suo, così faccio io rubacchiando sensazioni e idee, integrando il tutto nel mio contesto, nella scenografia della mia vita e del mio pensiero.
Le cose che mi attraggono sono d’altronde quelle che meglio si adattano alla costruzione in corso della mia identità. Ogni cosa viene poi metabolizzata e costituisce parte integrante della mutevole struttura finale.
Spesso sedeva a rimirare i suoi bagliori sul far della sera, quando gli ultimi raggi del sole morente facevano rilucere tanta ricchezza con tonalità arancio e rosa, sempre più cupe con il sopraggiungere della notte. Allora era solita trascorrere il tempo ripensando alle scorrerie e alle tante occasioni di conquista. Le tornavano in mente i duelli, le imboscate, le fughe, tutti quei percorsi seguiti per sviare i suoi inseguitori e far perdere le tracce. Le piaceva ripercorrere per ogni oggetto le emozioni della conquista: l’ansia dell’attesa prima della missione, l’adrenalina durante l’attacco, perfino il terrore delle ritirate, quando qualcosa andava storto. Non era l’oggetto in sé a possedere un valore intrinseco, bensì la storia della sua cattura, quello solo lei poteva conoscere, perché lo aveva vissuto.
Aveva anche depredato altri nidi, quando le altre gazze si erano allontanate incaute, ma il furto tra colleghe non le dava la stessa soddisfazione, tanto che il più delle volte aveva reso il bottino, abbandonandolo nelle vicinanze del nido depredato.
Quella sera osservava il suo tesoro colorarsi di mille tonalità ai raggi di un rosso tramonto autunnale. Dapprima si sentiva soddisfatta di quello che sicuramente era il miglior bottino mai messo insieme da una gazza. Poi, con il passare del tempo si accorse di quanto fossero diversi gli oggetti raccolti. Nessuno legava con il pezzo vicino, né con gli altri. Tutti si portavano dietro una storia, un carico di sentimenti e di emozioni legati alla conquista, ma sembravano sempre più un’accozzaglia disordinata. Gazza per la prima volta si sentì insoddisfatta e vide la sua collezione incompleta e inutile. La conclusione fu che doveva trovare una ragione comune e un gusto estetico che legasse tutti i suoi gioielli.
Man mano che la decisione maturava ogni singolo pezzo del suo favoloso tesoro aveva perso di valore. Quando finalmente si convinse del suo nuovo progetto, abbandonò ogni pezzo dell’intero patrimonio accumulato vicino ai nidi delle sue rivali. Queste, alla vista di tanto ben di Dio, quasi impazzirono per i doni inattesi, volavano e cinguettavano senza sosta creando un gran trambusto. Poi, quando finalmente il suo nido fu completamente vuoto, incominciò a definire gli obiettivi della sua caccia. Ogni bersaglio era frutto di severe valutazioni e di osservazione minuziosa. Solo quando era certa che l’oggetto cacciato fosse veramente indispensabile al progetto finale e ne avesse definito l’esatta collocazione finale, lo ghermiva. Con rapidità e abilità senza pari si lanciava sulla preda e mai sbagliava un colpo. Le sue rivali, ormai soddisfatte e tronfie per le loro conquiste, osservavano noncuranti dei miseri bottini che la loro più esperta collega si procurava. Un ritaglio di giornale, un bottone, un filo di lana, un incarto di caramella, ben poca cosa rispetto a quanto erano abituate loro. In poco si sparse la voce che la Gazza anziana fosse impazzita, che avesse abbandonato tesori meravigliosi dedicandosi alla raccolta di immondizia. L’ilarità per la situazione crebbe quando alcune gazze posero piccoli oggetti brillanti nel territorio di caccia della gazza anziana e lei li ignorò del tutto. Era divenuta lo zimbello di tutti e l’argomento di ogni chiacchiera serale.
Lei, imperterrita, continuava la sua ricerca, noncurante delle voci e delle beffe. Raccolse centinaia di oggetti differenti per foggia e dimensione, per ognuno trovava una collocazione, nel suo nido, accrescendo la tela per spessore e ampiezza. L’effetto della combinazione di quel multiforme aggregato andava modificandosi continuamente. Man mano prendeva forma uno strano telo, un vero e proprio collage di tante consistenze e di varie sfumature cromatiche.
Quando raccolse l’ultimo pezzo e lo collocò nel puzzle, finalmente si fermò a rimirare il capolavoro. Adesso sì che tutto appariva chiaro e il risultato finale era un caleidoscopio di colori e di consistenze che si manteneva in equilibrio in ogni sua parte. Sembrava una coperta soffice come quelle che le nonne amavano ricamare per avvolgere i nipotini nei giorni di freddo.
Sotto gli occhi delle gazze rivali, l’anziana gazza, ormai stremata, ci si avvolse dentro e lì restò immobile per tutta la notte. Nevicò a lungo e la bufera strappò molte delle foglie dagli alberi. Quando la gelida mattina successiva le gazze fecero visita all’anziana gazza già avevano un oscuro presentimento. Lo fecero in silenzio, come in una triste processione. Si appollaiarono sul bordo del nido e una di loro scostò con timore il mirabile telo. La sorpresa di tutte fu grande nel vedere agitarsi sotto la coperta le manine di una bambina. Era una neonata allegra e giocosa, gli occhi e i capelli erano neri, proprio come quelli della loro gazza e in fondo alle pupille si poteva scorgere quella luce che l’aveva guidata nella mirabile ricerca.
La Gazza Ladra sono io. E’ il simbolo che ho adottato e anche il nome della mia squadra di fantacalcio…
La gazza coglie qua e là ciò che luccica e lo fa suo, così faccio io rubacchiando sensazioni e idee, integrando il tutto nel mio contesto, nella scenografia della mia vita e del mio pensiero.
Le cose che mi attraggono sono d’altronde quelle che meglio si adattano alla costruzione in corso della mia identità. Ogni cosa viene poi metabolizzata e costituisce parte integrante della mutevole struttura finale.