Mi piace scrivere, anche più che leggere.
E’ il modo migliore per esprimere qualcosa, per divagare, per costruire e poi smontare, per veleggiare o svolazzare, per ingigantire e minimizzare, insomma per ricamarci su un po’ con ironia e creatività. Tutte questi balzi si possono
fare anche con la lettura o con altri passatempi, ma la scrittura ti permette di tenere in mano il timone, condurre il gioco, comandare gli elementi e le forze secondo il proprio capriccio.
Non è solo un semplice piacere, in realtà penso sia una patologia: la necessità di fare, di incidere, di mostrare, di indirizzare e di lasciare un segno.
Scrivere per esistere.
E anche per costruire una propria personale pietra miliare, piantare sul percorso la bandierina con il proprio colore, scolpire nel tempo un proprio tassello che rimanga a testimoniare il passaggio, il fatto di esserci stato.
Lo so fare? Probabilmente no. D’altronde è un campo che non ho approfondito. Ma non è questa una ragione valida per fermarsi. Forse infatti questo avventato avventurarsi in contesti incerti e sconosciuti potrebbe forse un giorno, in
determinate condizioni astrali, produrre, oltre alle strampalate idiozie che state leggendo, anche un aggregato coerente di parole e segni - chiamiamolo componimento - tale da indurre nell’esausto lettore un momento di piacere, un
pensiero lieto, una riflessione, un sorriso…
Siccome ciò non potrà accadere facilmente, allora questo inutile spreco del mio e soprattutto del vostro prezioso tempo rimarrà un esercizio inutile di una mente disturbata.
E probabilmente l’unico lettore sarò proprio io quando, ormai rimbambito, cercherò ricordi e cimeli del passato…
Per tutti voialtri, invece, come dicono i commedianti, se qualcosa vi è piaciuto condividetelo con i vostri amici e conoscenti, se invece, come più facilmente accadrà, vi sarete annoiati, allora cambiate libro e dimenticate tutto con un
pizzico di tolleranza e comprensione.
Con affetto
Fabrizio Trainito
Perché scrivo
Scrivere per me è diventato vitale. Quando ho scritto qualcosa (poesia, racconto, riflessione, appunto), allora la giornata non è andata persa. Se non scrivo nulla, non disegno, non creo nulla, allora mi sembra che il giorno sia passato senza lasciar traccia, senza una sua impronta, un suo perché.
E così pongo la scrittura all’apice della mia azione, del mio vivere quotidiano, come misura di ogni cosa. Parole, frasi, periodi, aria fritta, ma non solo. Questi miei lasciti al tempo sono anche una serie di bandierine rosse posizionate da me in un campo arato. Un itinerario che mi contraddistingue e che, con tutti i miei limiti, mira a rendere il mondo un posto migliore per chi ci seguirà.
Scrivo, riordino, correggo, ma poi, appena possibile, pubblico. Rendo di dominio pubblico quel che faticosamente ho messo insieme, che sento più valido e utile, che forse aiuterà qualcuno a costruire meglio il proprio pensiero, la propria vita.
Pubblico un numero enorme di libretti, di antologie, di storie, che forse per molto non saranno lette, rimanendo ignote ai più. Chissà, la speranza è che qualcuno sia attirato prima o poi dai miei scritti, trovi utile salpare a bordo del mio veliero verso lidi lontani o meglio decida di portarmi con sé sulla sua nave, compagno di viaggio o almeno giullare di corte.
Così continuo a scrivere. Scrivo per fissare la mia identità nel tempo e per non dimenticare io stesso chi sono in un determinato momento della mia vita. Provo a fermare il tempo su un pensiero, un ricordo, un'idea, un interesse. Appunto quel che mi passa per la testa, prima che sfugga trasportato dal vento e si disperda. Mi serve per riordinare i miei valori, i concetti, le nozioni, le idee. Perché scrivendo mi interrogo, approfondisco, valuto meglio le opzioni, le ordino e magari riesco anche a metterle a fuoco, a renderle più chiare.
Quando ho scritto le prime lettere ai miei figli ero convinto dell'opportunità di fissare le idee che avevo a quel tempo, pensieri di trentenne che di certo da cinquantenne sarebbero stati rielaborati se non addirittura abbandonati e dimenticati. Sicuramente adesso che sono cinquantenne sono meno entusiastici, meno spensierati, meno fiduciosi. Certo adesso appaiono diversi il futuro, il merito, i valori. Ora non potrei scrivere lo stesso.
Scrivo per lasciare il segno, perché non tutto vada perduto, perché qualcosa di buono da dire ce l'ho e non voglio che svanisca con me. Voglia di immortalità? Forse, però vorrei dire la mia, frutto di tanta voglia di fare, di tanta fatica, di tanto impegno. Vorrei che almeno chi mi seguirà abbia qualcosa di me.
Scrivo perché credo in queste riflessioni, in quello che potrebbero voler dire per gli altri e tra questi soprattutto i miei familiari e chi altro mi seguirà nelle varie generazioni. E magari qualcuno con queste abbondanti secchiate di parole ci farà qualcosa.
Scrivo per non essere dimenticato e anche per non dimenticare, perché la mia paura maggiore è quella di perdere la memoria, la capacità di ragionare, l'autonomia di pensiero. Non voglio diventare una bambola di pezza, ma se mai lo diventassi dovranno essere i miei libri a parlare per me.
Scrivere è per me vivere più volte: vivere la vita dei miei personaggi, che sono sempre io nelle mille sfumature del mio intelletto. Inoltre ogni volta che rileggerò le mie storie le vivrò in modo diverso. Diversa e sempre nuova sarà anche l'esperienza nel momento in cui le potrò condividere con altri.
Questo mio comunicare è un modo per difendermi dal tempo, alzando barricate contro il nulla che avanza. Le mie storie, le poesie, gli appunti sono muri alzati contro lo scorrere del tempo. Non sono argini duraturi, ma questo è il meglio che mi riesce di fare.
Ogni narrazione poi costruisce il proprio tempo, che non coincide con quello reale, bensì, dilatandolo a piacere, lo accresce con profitto per tutti: narratore e lettore.
Il mio lettore non è un consumatore del mercato editoriale, ma un altro come me, che magari ferito e infreddolito si siede davanti allo stesso focolare per trovare un po' di compagnia.
Fratello, ti aspetto. Intanto aggiungo un ciocco nuovo e smuovo la brace per ravvivare il fuoco, affinché la fiamma torni ad ardere potente.
E’ il modo migliore per esprimere qualcosa, per divagare, per costruire e poi smontare, per veleggiare o svolazzare, per ingigantire e minimizzare, insomma per ricamarci su un po’ con ironia e creatività. Tutte questi balzi si possono
fare anche con la lettura o con altri passatempi, ma la scrittura ti permette di tenere in mano il timone, condurre il gioco, comandare gli elementi e le forze secondo il proprio capriccio.
Non è solo un semplice piacere, in realtà penso sia una patologia: la necessità di fare, di incidere, di mostrare, di indirizzare e di lasciare un segno.
Scrivere per esistere.
E anche per costruire una propria personale pietra miliare, piantare sul percorso la bandierina con il proprio colore, scolpire nel tempo un proprio tassello che rimanga a testimoniare il passaggio, il fatto di esserci stato.
Lo so fare? Probabilmente no. D’altronde è un campo che non ho approfondito. Ma non è questa una ragione valida per fermarsi. Forse infatti questo avventato avventurarsi in contesti incerti e sconosciuti potrebbe forse un giorno, in
determinate condizioni astrali, produrre, oltre alle strampalate idiozie che state leggendo, anche un aggregato coerente di parole e segni - chiamiamolo componimento - tale da indurre nell’esausto lettore un momento di piacere, un
pensiero lieto, una riflessione, un sorriso…
Siccome ciò non potrà accadere facilmente, allora questo inutile spreco del mio e soprattutto del vostro prezioso tempo rimarrà un esercizio inutile di una mente disturbata.
E probabilmente l’unico lettore sarò proprio io quando, ormai rimbambito, cercherò ricordi e cimeli del passato…
Per tutti voialtri, invece, come dicono i commedianti, se qualcosa vi è piaciuto condividetelo con i vostri amici e conoscenti, se invece, come più facilmente accadrà, vi sarete annoiati, allora cambiate libro e dimenticate tutto con un
pizzico di tolleranza e comprensione.
Con affetto
Fabrizio Trainito
Perché scrivo
Scrivere per me è diventato vitale. Quando ho scritto qualcosa (poesia, racconto, riflessione, appunto), allora la giornata non è andata persa. Se non scrivo nulla, non disegno, non creo nulla, allora mi sembra che il giorno sia passato senza lasciar traccia, senza una sua impronta, un suo perché.
E così pongo la scrittura all’apice della mia azione, del mio vivere quotidiano, come misura di ogni cosa. Parole, frasi, periodi, aria fritta, ma non solo. Questi miei lasciti al tempo sono anche una serie di bandierine rosse posizionate da me in un campo arato. Un itinerario che mi contraddistingue e che, con tutti i miei limiti, mira a rendere il mondo un posto migliore per chi ci seguirà.
Scrivo, riordino, correggo, ma poi, appena possibile, pubblico. Rendo di dominio pubblico quel che faticosamente ho messo insieme, che sento più valido e utile, che forse aiuterà qualcuno a costruire meglio il proprio pensiero, la propria vita.
Pubblico un numero enorme di libretti, di antologie, di storie, che forse per molto non saranno lette, rimanendo ignote ai più. Chissà, la speranza è che qualcuno sia attirato prima o poi dai miei scritti, trovi utile salpare a bordo del mio veliero verso lidi lontani o meglio decida di portarmi con sé sulla sua nave, compagno di viaggio o almeno giullare di corte.
Così continuo a scrivere. Scrivo per fissare la mia identità nel tempo e per non dimenticare io stesso chi sono in un determinato momento della mia vita. Provo a fermare il tempo su un pensiero, un ricordo, un'idea, un interesse. Appunto quel che mi passa per la testa, prima che sfugga trasportato dal vento e si disperda. Mi serve per riordinare i miei valori, i concetti, le nozioni, le idee. Perché scrivendo mi interrogo, approfondisco, valuto meglio le opzioni, le ordino e magari riesco anche a metterle a fuoco, a renderle più chiare.
Quando ho scritto le prime lettere ai miei figli ero convinto dell'opportunità di fissare le idee che avevo a quel tempo, pensieri di trentenne che di certo da cinquantenne sarebbero stati rielaborati se non addirittura abbandonati e dimenticati. Sicuramente adesso che sono cinquantenne sono meno entusiastici, meno spensierati, meno fiduciosi. Certo adesso appaiono diversi il futuro, il merito, i valori. Ora non potrei scrivere lo stesso.
Scrivo per lasciare il segno, perché non tutto vada perduto, perché qualcosa di buono da dire ce l'ho e non voglio che svanisca con me. Voglia di immortalità? Forse, però vorrei dire la mia, frutto di tanta voglia di fare, di tanta fatica, di tanto impegno. Vorrei che almeno chi mi seguirà abbia qualcosa di me.
Scrivo perché credo in queste riflessioni, in quello che potrebbero voler dire per gli altri e tra questi soprattutto i miei familiari e chi altro mi seguirà nelle varie generazioni. E magari qualcuno con queste abbondanti secchiate di parole ci farà qualcosa.
Scrivo per non essere dimenticato e anche per non dimenticare, perché la mia paura maggiore è quella di perdere la memoria, la capacità di ragionare, l'autonomia di pensiero. Non voglio diventare una bambola di pezza, ma se mai lo diventassi dovranno essere i miei libri a parlare per me.
Scrivere è per me vivere più volte: vivere la vita dei miei personaggi, che sono sempre io nelle mille sfumature del mio intelletto. Inoltre ogni volta che rileggerò le mie storie le vivrò in modo diverso. Diversa e sempre nuova sarà anche l'esperienza nel momento in cui le potrò condividere con altri.
Questo mio comunicare è un modo per difendermi dal tempo, alzando barricate contro il nulla che avanza. Le mie storie, le poesie, gli appunti sono muri alzati contro lo scorrere del tempo. Non sono argini duraturi, ma questo è il meglio che mi riesce di fare.
Ogni narrazione poi costruisce il proprio tempo, che non coincide con quello reale, bensì, dilatandolo a piacere, lo accresce con profitto per tutti: narratore e lettore.
Il mio lettore non è un consumatore del mercato editoriale, ma un altro come me, che magari ferito e infreddolito si siede davanti allo stesso focolare per trovare un po' di compagnia.
Fratello, ti aspetto. Intanto aggiungo un ciocco nuovo e smuovo la brace per ravvivare il fuoco, affinché la fiamma torni ad ardere potente.